Avevo solo 6 anni quel 2 di gennaio del 1983 quando per la prima volta il Bari è entrato nella mia vita: fu una sconfitta, ma quasi non la ricordo. Così come non ricordo l’altra partita che vidi in quell’anno disgraziato, contro l’Arezzo: uno scialbo zero a zero con un sussulto finale, quello sì lo ricordo bene, un rigore tirato alle stelle da De Tommasi ben oltre il 90’. Uno dei tanti, quell’anno.

Ma in realtà tutto è cominciato l’anno dopo: posto 110, fila 21, poltrone rosse dello stadio Della Vittoria (ma quelle arancioni ancora non esistevano). Fu un anno magico, l’anno in cui una matricola di serie C fece fuori dalla Coppa Italia la Juve di Platini e la Fiorentina di Antognoni arrivando fino alle semifinali con il Verona che di lì a 12 mesi sarebbe stato campione d’Italia: io c’ero, c’ero e c’ero.

Così come c’ero incollato alla radiolina, sul lettone dei miei, quel pomeriggio in cui espugnammo il campo della Juve, quella sera in cui vincemmo a Firenze e quella notte in cui ci arrendemmo al Bentegodi tra gli applausi di tutti.

E c’ero in campionato, quasi sempre: posto 110, fila 21, rigorosamente in braccio. Ero piccolino.

Come non innamorarsi quando al secondo tentativo arrivò la seconda promozione? Il mio primo abbonamento: fila 18 posti 104 e 106. Che goduria quando Bivi batteva le punizioni tra i cori assordanti di tutto lo stadio, che goduria quando Bergossi mise ko il Lecce con il primo dei suoi gol da antologia ai giallorossi, che goduria quella vittoria a Varese incollato alla radiolina, che goduria il trionfo sul Pescara che ci riportava in serie A dopo 14 stagioni, la città impazzita, i piatti bianchi e rossi sui balconi.

Ma quella stagione la ricordo per una data: 19 maggio del 1985, Bari-Arezzo. Io non c’ero: fu l’unica assenza di quell’anno, ero troppo piccolo per ribellarmi alla necessità di presenziare a una importante ricorrenza familiare. La ricordo perché lì comincerà un record che durerà fino al 7 di febbraio del 1993: per 8 anni, per tutta la mia infanzia non ho più perso una partita di campionato del Bari allo stadio. Fosse il Della Vittoria, fosse il San Nicola, ci fosse un caldo irrespirabile o la neve, avessi febbre, otite o tonsillite: io c’ero.

C’ero quando Rideout stese la Roma, c’ero il giorno della sconfitta con l’Avellino che decretò il mesto ritorno in B (eravamo proprio una matricola quell’anno!), c’ero sempre l’anno dopo (bella squadra con Perrone e Brondi, peccato che all’andata fu un disastro) e c’ero ancora quando arrivò lo zar (che brutto calo, nel finale, caro Bari).

C’ero anche nell’88-89, sempre! C’ero il giorno in cui il mio idolo Perrone si ruppe i legamenti, c’ero in quell’incredibile Bari-Messina in cui tornò dopo una stagione intera e fece gol (che emozione, ragazzi!), c’ero il giorno di Bari-Monza, dell’invasione di campo, del ritorno in serie A con i monzesi rimasti senza magliette e Terracenere in gol per la prima volta nella carriera.

E l’anno dopo c’ero, c’ero sempre: c’ero quando Baggio beffò Mannini, c’ero quando Van Basten beffò Giuan Loseto (che solidità quella squadra del ’90!), c’ero quando Soda stese la Juve e Joao Paulo mise a sedere Franco Baresi (che peccato, il ’91!), c’ero a soffrire nell’estate di Platt (quanti nomi dopo il primo gran rifiuto: Detari, Valdo, Hagi, Thon), c’ero sotto il diluvio di quel maledetto 15 settembre del 1991 che ci tolse per sempre il vero Joao Paulo e pose le premesse per la retrocessione (tutti in B, ma con Zibì: che stupidaggine, aveva ragione Matarrese!)

L’anno dopo fu brutto, bruttissimo, il peggiore fino a quel momento. E non c’ero il 7 febbraio 1993: mi arresi alle 11 della domenica mattina (si giocava ancora di domenica), il termometro segnava 41 di febbre. Non dissi niente, avevo capito, piansi. E vidi la partita in bassa frequenza: Bari-Piacenza, non lo dimenticherò mai. Chiusi a 134 partite consecutive il mio filotto, tutta la mia infanzia, tutta la mia vita fino ad allora.

L’anno dopo fu il più sorprendente: l’anno di Bigica, Amoruso e Tangorra, l’anno della serie A, l’anno della scazzottata col Cesena (Piraccini, che gran giocatore!) e delle grandi vittorie in trasferta di inizio autunno, l’anno di Protti e Tovalieri.

E che anno, l’anno dopo: forse il migliore di tutti in serie A e che goduria quei 6 punti a San Siro! Lo stadio quando si giocava in casa, gli amici e la bassa frequenza quando si giocava in trasferta. Non c’era ancora Tele+, ma ci si arrangiava bene!

Il ’96 fu un anno strano, eravamo una macchina da gol e un colabrodo: come dimenticare i 24 gol di Protti (che rabbia contro la Cremonese!) e i 12 di Kenneth Andersson, come dimenticare le 7 pappine di Cremona, il 7-6 in due partite con la Lazio (3-3 in casa, 4-3 fuori), la delusione finale. Quell’anno gli arbitri incisero negativamente sull’esito finale del campionato, accadrà solo un’altra volta: nella meravigliosa stagione fallimentare.

Ma fu presto serie A. Fu un anno scialbo quel ’96-‘97, pieno di polemiche e contestazioni, ma con una irresistibile serie finale: e io c’ero. Sempre, come sempre! Sarebbe stata l’ultima promozione per i successivi 13 anni. Speriamo che sia l’ultimA, si leggeva su uno striscione in quel pazzesco giorno con il Castel di Sangro: sembrava una maledizione.

Di lì si susseguirono anni belli, ma con un retrogusto amaro. Il grande errore di Matarrese fu quello di difendere sempre e comunque Fascetti. Non aveva torto, perché quel giorno freddo d’inverno del ‘97 a Castel di Sangro, aveva ragione lui. Ma a un certo punto il presidente doveva desistere.

Furono gli anni di Zambrotta e Masinga, Manighetti e Marcolini, Daniel Andersson e Neqrouz con il suo dito medio, anni in cui diventammo il castigamatti dell’Inter, vincendo sempre, in casa e fuori. Non era un Bari spettacolare, ma era una squadra solida e quadrata che si salvò sempre.

Che sofferenza nell’autunno del ’98. Eh sì, perché nell’autunno del ’98 io non c’ero. Ero a studiare lontano, per un semestre, ma il mio Bari era sempre lì nel cuore e la domenica pomeriggio la telefonata a casa era imperativa: che ha fatto il Bari? Com’è stata la partita? Chi ha segnato? Ha giocato Zambrotta? Abbiamo sofferto?

Nel girone di ritorno c’ero e c’ero anche la sera del 18 dicembre 1999: la mattina dopo, di domenica, alle 8, dovevo essere in facoltà a discutere la mia tesi di Laurea. Ma potevo mancare? Ricordo tutto di quella serata, il freddo incredibile, gli applausi ad Enyinnaya e qualche mugugno per i tanti errori di un ragazzino di Bari Vecchia (sì, non giocò proprio benissimo…) e poi il gol. Le urla, l’esplosione dello stadio, la vittoria. Con l’Inter, sempre l’Inter!

Quella sera finì il millennio e con il millennio finì il Bari: da allora 8 anni di delusioni: un girone di ritorno orribile culminato con il 3-4 contro il Perugia (c’ero, c’ero sempre!), l’ultimo posto dell’anno seguente e i quattro anni con cambio d’allenatore ogni anno fino alla mesta retrocessione in C. Io ci sono stato fino al febbraio del 2004. Sempre. Sì, anche a Bari-Cittadella, rigorosamente in quota abbonati. Poi però mi sono arreso. Sono stato lontano, lo confesso. Allo spareggio con il Venezia non c’ero, e, dopo il ripescaggio, non c’ero a vedere il Bari di Carboni, qualche volta ho appreso il risultato solo il lunedì. Gli amori finiscono, anche i più grandi. Ma no… è bastato qualche segnale di risveglio con Maran in panchina per farmi appassionare e poi il grande grande grande grande Bari di Conte: lo ammetto, mi piaceva vincere facile! Era il periodo del Ponciponci-po-po-po’ e dopo ogni gol (ed erano tanti!) lo cantavo saltellante e mi dicevo che sì… adoravo vincere facile! Solo quell’anno ho capito cosa sente un tifoso della Juve o del Real Madrid… e non è per niente noioso, né sgradevole. Guberti-Barreto-Kutuzov-Kamatà: che poker, signori! E che partita a Bergamo con l’Albinoleffe!

L’anno dopo fu bello, ma sopravvalutato, giocammo alla grande in autunno, ma soffrimmo tanto in inverno. Ma con l’Inter… ancora l’Inter! Sì era l’Inter del triplete: Mourinho in panca, Milito centravanti e non riuscì a batterci. Né all’andata (che partita alla prima giornata!), né al ritorno. Di quell’anno proprio non mi va giù lo 0-0 di San Siro contro il Milan, è stata forse la partita più bella dei miei 35 anni di Bari. Ma non abbiamo segnato…

Io c’ero davanti alla tv, sempre: in casa e in trasferta. Niente più stadio, famiglia, lavoro e un po’ di pigrizia. Ma c’ero di nuovo, almeno davanti alla tv: sempre!

Davanti alla tv non c’ero il 15 maggio 2011, ero all’estero per impegni familiari ed ero lì a tavola, all’estero, a fremere come un matto per il derby con il Lecce, il derby che avrebbe salvato una stagione che poi si sarebbe rivelata ancora più sciagurata di quello che sembrava. Ne parlavo prima: “vinceremo!”, dicevo a tutti. Ne parlavo anche durante, chiedendo ogni 2 minuti a un amico con lo smartphone di dirmi il risultato (no, era un amico educato, non mi mandò a quel paese!). Fino a quando segnò Masiello. Fu un gol, non un autogol. Quando tutto venne a galla, mi sentì ancora più stupido degli altri, l’entusiasmo di quella mattina, il tifo sfrenato a tavola durante la partita. Che idiota! Io che tifavo rompendo le scatole a tutti e il povero Huseklepp che si dannava l’anima per una partita venduta.

L’anno dopo c’ero, carico, sempre davanti alla tv: sempre. Furono due belle stagioni quelle di Torrente, due squadre umili che lottavano contro tutto e tutti, gravate da tanti punti di penalizzazione, ma con gente tosta: Dos Santos su tutti. E poi posero la base per la meravigliosa stagione fallimentare: arrivarono in quegli anni Ceppitelli e Polenta, Defendi e Sciaudone, Galano e Romizi. Ma voglio ricordare il 2012-2013 per un errore, un mio gravissimo errore. Avevo visto tutte le partite di quell’anno, era maggio e il Bari giocava a Novara ormai salvo: la classica partita di campionato. Avevo letto (giuro!) che si giocava di domenica. E invece si giocava di sabato… Vincemmo al Piola, segnò Caputo, era il 4 maggio 2013: sarebbe stata l’ultima partita della storia del Bari che mi sono perso! Eh sì perché in questi cinque anni sono passati 3 presidenti, due società, quattro direttori sportivi, nove allenatori ed una quantità inenarrabile di calciatori: ma io c’ero sempre! Qualche volta allo stadio, quasi sempre davanti alla tv (adesso non vivo più neanche a Bari). 217 partite consecutive da quando Alexandru Pena parò il rigore di Succi (ero allo stadio) al maledetto playoff di Cittadella. 217 partite di campionato consecutive e in mezzo la meravigliosa stagione fallimentare, il fallimento di Mangia, l’orribile Bari di Nicola, il Bari di Camplone (con Sabelli, saremmo andati in A, ne sono convinto!), quello di Stellone e le ore e ore in piedi davanti alla tv ad aspettare che il Bari di Colantuono facesse un diavolo di gol. E poi quest’anno, l’ultimo, ho visto tutte le amichevoli estive trasmesse in Tv (a cominciare da Bari-Fiorentina, gol di Improta), tutte le gare di coppa Italia (che sfortuna a Sassuolo!) e tutte le gare di campionato. Mi sono chiesto tante volte: a quante partite consecutive mi fermerò? Perché succederà? Un impegno di lavoro? Un problema di salute? Un indefettibile impegno familiare? Non avrei mai pensato che a fermarmi sarebbe stata la morte del mio Bari.

Alessandro Indelli

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Sezione: Lettera del Tifoso / Data: Mar 17 luglio 2018 alle 09:45
Autore: Redazione TuttoBari
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