Quello tra Ciccio Caputo e il Bari è stato un amore adolescenziale. Uno di quelli nati da una cotta profonda e che dopo anni profondi si consumano sino a trasformarsi in odio. Finiscono sempre male, gli amori così. E quello tra il diciotto biancorosso e il galletto sembra destinato a seguire lo stesso copione, oramai inevitabile.
Era iniziata bene. Con una tripletta all'esordio da titolare e un ruolo da subentrante decisivo nella vittoriosa cavalcata firmata da Conte. Miglior attore non protagonista. Ricevuto l'oscar, Ciccio ha girato per un anno prima di rientrare alla base e siglare l'unico timbro del suo campionato in Serie A (Bari-Cesena 1-1). Che non è valsa come una rete-salvezza, ma come un buon nome da cui ripartire dopo la sciagurata e inevitabile retrocessione in B, condensata dallo scandalo scommesse.
Ci mette un po' a carburare nel Bari di Torrente, complice una posizione tanto defilata da non consentirne quasi mai un pericolo per le retroguardie avversarie. Con la cessione di Marotta, torna al centro dell'attacco e riprende a spedire la palla nel sacco, chiudendo a nove reti la sua stagione. L'idillio si proclama con le diciassette segnature della stagione successiva che, da sole, regalano una preziosa fetta di salvezza ad una squadra partita con la pesante zavorra della penalità.
Il resto è storia recente. La lunga squalifica di un anno ha logorato quel rapporto adolescenziale con la piazza. Lo ha portato alla totale dimenticanza. Perché intanto Bari si innamorava dei Joao Silva e dei Cani che stavano per regalare un sogno. Il rientro in campo è problematico. La tifoseria è spaccata a metà sulla questione. E finchè Caputo mette a referto i suoi soliti gol, il caos resta nascosto. Ma poi le prestazioni vengono meno e la piazza vive una sorta di accanimento nei confronti del suo capitano. La situazione è surreale, il rendimento dell'attaccante - sempre meno tranquillo - crolla vertiginosamente. Caputo è il bersaglio della tifoseria. La situazione scappa di mano. Perché quello che doveva essere il patrimonio di una squadra, finisce nel mirino del suo amore storico. Forse oltremodo.
Ma nei grandi amori si sbaglia in due. E anche Caputo ci mette del suo. Alcuni suoi tweet (celebre il "Catania, verrei a piedi") non fanno altro che gettare altra benzina sul fuoco. Il rapporto già incrinato sembra rompersi definitivamente. Intanto arriva Ebagua e per Ciccio il posto non è più al sicuro. Con l'Entella esce tra i fischi, a Perugia non vede il campo e solo dopo aver devastato il Frosinone, Nicola prova a regalargli l'ultima gioia prima della partenza quasi certa. O l'ultima possibilità per riconquistare il suo grande amore? Chissà. Viene accolto da un mix tra applausi e fischi. Lotta tanto e si innervosisce. Perché vorrebbe siglare il gol della riappacificazione. Ma il suo è un grido nel deserto. La partita finisce e Caputo non è riuscito nel suo intento. La sua squadra vince 4-0, ma lui non ha voglia di festeggiare. E durante la riunione in cerchio di Nicola, abbandona tutti e torna negli spogliatoi. Sembra non reggere più il peso della situazione. Sembra oramai rassegnato alla conclusione di un amore per cui sente di aver dato tutto. Un amore, quello per la Bari, ancora vivo nel cuore di Caputo. Innamorato, forse ora come non mai, di quei colori. E disperato, dopo aver raggiunto la consapevolezza che forse le due strade stanno per diventare parallele.
Domani questo amore potrebbe concludersi. E l'ultima immagine che potrebbe lasciarci è quella di un capitano che lascia rabbiosamente il San Nicola. Di un amore adolescenziale che porta con sè tante emozioni, ma anche un cumulo di sofferenza inimmaginabile. Ha il profumo del fallimento e il rumore dei fischi nell'ultima notte.
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