Se fino ad ora in questa nostra rubrica ci eravamo occupati di ricordare momenti e giocatori di una certa importanza nella storia del Bari, inquadrandoli in un contesto decisamente “felice” dal punto di vista prettamente sportivo, vorremmo ora parlare anche dei periodi meno nobili vissuti negli ultimi anni dal club biancorosso.
Sappiamo bene che, dopo gli anni splendidi di Fascetti e Regalia in serie A, sono arrivati quelli mesti e modesti della serie B; campionati sempre meno esaltanti e sempre più sofferti, che portarono ( è sempre bene ricordarlo) anche alla retrocessione in serie C dopo il doppio spareggio perso a scapito del Venezia. Il punto più basso nella storia recente del nostro Bari.
A salvarci dall’incubo ci avrebbe pensato poi la giustizia sportiva, ma quelle che ne seguirono non furono certo stagioni da ricordare. La confusione che regnava sovrana ai piani alti della società, si ripercuoteva irrimediabilmente anche in ciò che la squadra (non) riusciva a fare in campo. Dopo aver scampato la retrocessione, si puntò forte su un deciso rinnovamento della rosa e delle ambizioni; fuori giocatori del calibro di Spinesi e De Rosa, anche loro caduti in una sorta di catalessi, dentro gente giovane, ambiziosa, con tanta voglia di emergere.
La novità riguardò anche la panchina, affidata ad un tecnico emergente (in quegli anni), come Guido Carboni, fratello meno famoso dell’ex terzino di Roma e Valencia, Amedeo. Carboni arrivò dalla Viterbese, portandosi dietro due suoi fedelissimi: Alessandro Gazzi e, soprattutto, Vincenzo Santoruvo.
Il bomber di Bitonto, dopo tanto girovagare in club minori della provincia italiana, aveva finalmente la grande opportunità che una piazza come Bari poteva concedergli; bisognava esser bravi a sfruttarla. Santoruvo, classe ’78, aveva cominciato la sua carriera in C2, nel Molfetta, poi Andria, Rutigliano, Acireale, ancora due anni ad Andria e infine l’esperienza a Viterbo, appendice al suo ritorno in Puglia. Facile immaginare come la chiamata del Bari, fosse stata per lui quasi del tutto inaspettata in quegli anni. Pur essendo un centravanti, Santoruvo, non era mai stato un bomber vero, un finalizzatore, ma piuttosto quello che viene definito come il classico “centravanti di manovra”, bravissimo a far salire la squadra, ottimo nelle sponde, prodigo nei recuperi difensivi. Ma quello che non era mai mancato al bitontino era lo spirito di sacrificio e la sua spiccata personalità in campo e fuori.
E’ come se, in quegli anni bui, quel Bari in evidente ridimensionamento avesse voluto aggrapparsi ad un giocatore come lui, che esprimesse esattamente queste caratteristiche, dando idea di quanto si sarebbe dovuto soffrire per riemergere un giorno, come poi è avvenuto.
Non ce ne voglia il buon Vincenzo, ma vogliamo ricordarlo proprio in questo modo, come un giocatore che ha sempre dato tutto (anche di più) per la maglia biancorossa, riuscendo a incarnare alla perfezione lo spirito da piccola provinciale che il Bari era stato costretto a far suo per sopravvivere nella cadetteria. A giudicare dai risultati, crediamo di poter dire senza dubbio che il ricordo lasciato dall’attaccante al momento della sua partenza, sia stato ottimo. Colui che per quattro anni ha indossato la maglia numero nove del Bari, riuscì fin dal principio a calarsi alla perfezione nella nuova realtà, diventando presto il simbolo di quella squadra. Non fece mancare anche il suo apporto in termini realizzativi, visti i suoi 39 gol in 142 presenze; diversi anche di ottima fattura. Erano gli anni del mitico sponsor “Pasta Ambra” impresso sulle maglie di quella squadra che non andò mai oltre l’undicesimo posto in B ma furono anche anni calcisticamente “mediocri” che spianarono poi la strada a quelli del grande rilancio nel calcio che conta. Allora bisognava soffrire e stringere i denti, lottare anche con club quasi sconosciuti pur di conquistarsi una stagione tranquilla e senza patemi; quel Bari, il Bari di Vincenzo Santoruvo, ci riuscì alla grande. Certo non mancarono momenti difficili, in cui era davvero arduo avere fiducia e sognare un futuro diverso, ma la professionalità di quel gruppo di giocatori andrà sempre rimarcata. Non ci sarebbe stato il Bari di Conte, l’exploit di quello targato Ventura, senza quegli anni di sudore e fatica, di cui Santoruvo resterà sempre il simbolo. Non fu certamente un caso se poi, gran parte di quella squadra, fu rinnovata con l’arrivo di Antonio Conte in panchina: erano cambiati gli obiettivi e le prospettive. Quel Bari era di grande qualità, puntava in alto, con gente di livello; Santoruvo e Conte non si “presero” mai e fu divorzio, quasi subito.
Nonostante fossero arrivati ottimi giocatori, siamo certi che Santoruvo non avrebbe certamente sfigurato in quella squadra che si preparava a dare l’assalto alla serie A, ma preferì altre strade, nuovi stimoli, altre maglie per cui dare tutto sé stesso.
Andò via dunque, scegliendo Frosinone come meta dove proseguire la sua carriera, società dove continua ancora oggi a militare, nonostante la retrocessione in C patita la scorsa stagione.
Anche il popolo ciociaro ha potuto ammirare e conoscere le grandi qualità umane, oltre che tecniche naturalmente, di un grande professionista come Vincenzo Santoruvo, indimenticato nove del Bari.
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